Capitolo 1 "Il Principe"
C’era
una volta, tanto tempo fa, un Principe che viveva in un magnifico castello
costruito su una collina ai margini di un grande lago. Dalle finestre si poteva
ammirare la vallata lussureggiante tutto intorno, estesa fino a confondersi in
lontananza con la linea frastagliata dell’orizzonte.
Il Principe, ai
pochi sudditi cui era concesso il privilegio di vederlo, appariva sempre giovane
e bello, come nei primi anni del regno. Amava indossare abiti informali,
discreti, forse inadeguati al suo rango, tuniche di pura seta coperte da
mantelli ornati di zibellino e fregi in oro zecchino, sul capo una semplice
corona tempestata di smeraldi.
Non tollerava
l’inutile ostentazione.
Regnava su
tutte le terre che andavano dalle montagne fino al mare. Tutte le case, i
poderi, ogni cosa, fino a perdita d’occhio, erano sue. Aveva potere di vita e
di morte sui sudditi e, magnanimo, gli concedeva di vivere dignitosamente, donandogli
il cinque per cento dei frutti del loro lavoro. Pensate, ogni suddito lavorava
non meno di quindici ore al giorno tutti i giorni della settimana e, se godeva
di buona salute ed evitava di morire troppo giovane, aveva di che mantenere
dignitosamente la propria famiglia. Anche ai fanciulli, del resto, concedeva di
lavorare fin da piccoli, e per
ricompensa tutte le sere li aspettava un ricco piatto di minestra calda e un
tozzo di pane. Un difetto del Principe era senz’altro l’innata bontà d’animo
verso i sudditi. Con riluttanza li
mandava a morte quando, uno o due volte l’anno, era tradizione impiccarne qualcuno
con un pretesto, solo per ricordare a tutti chi fosse il Padrone.
La vita nel
castello scorreva tranquilla. A volte esaltante, in occasione delle feste e dei
balli sfarzosi, altre noiosa, quando gli impegni di governo si facevano pressanti.
Il Principe si era sposato, ancora adolescente, con una giovinetta di buona
famiglia entrata nelle grazie dei suoi genitori. Ella, per combinazione, era
anche la figlia primogenita della più ricca famiglia di imprenditori del regno,
attivi in molti campi ma sopratutto in quello dell’acciaio e delle materie
prime.
Il matrimonio
era stato allietato dalla nascita di due figli, un maschio e una femmina,
divenuti da subito, al di là delle ricchezze e del potere, il vero tesoro di
mamma e papà.
Col passare del
tempo e i sopraggiunti impegni di governo, all’indomani della scomparsa del
padre, il Principe non poteva concedere molto tempo alla consorte e alla prole.
Gran parte della giornata doveva dedicarla a noiose faccende
amministrative in compagnia del suo
collaboratore più fidato, il Gran Ciambellano.
Costui
proveniva da una modesta famiglia di contabili e si era costruito una luminosa
carriera grazie alla brillante intelligenza, all’enorme preparazione e
all’assoluta fedeltà al suo Signore e Padrone.
In breve era
divenuto il consigliere più influente, distinguendosi per astuzia e ingegno. A
lui il Principe riservava attenzioni particolari e ne ascoltava sempre le
opinioni e i suggerimenti, affidandogli i compiti più delicati e riservati.
Una mattina di
primavera il Principe e il Gran Ciambellano si trovavano, come accadeva spesso,
sulla terrazza principale del castello. Da lì si potevano ammirare il lago,
dalla superficie specchiata, su cui si riflettevano le chiome degli alberi, le
colline, dai colori cangianti secondo i capricci del sole, il fiume, illuminato
dai riflessi argentati, che attraversava con movimenti sinuosi la vallata.
Il maggiordomo stava
servendo il tè mentre il sole scaldava, con i primi, delicati raggi del mattino,
le pareti del castello;
-
Mi dica
Gran Ciambellano, mio fedele amico, perché tarda a riferirmi dei disordini
scoppiati in alcune città del regno?
-
Maestà,
sono piccolezze. Non volevo turbarla con spiacevoli problemucci di ordine
pubblico.
-
Questo lo
lasci giudicare a me e mi dica tutto quello che sa!
-
Nulla
Padrone, solo un gruppo di ragazzi che fanno baldoria. Hanno scoperto di essere
capaci di pensare!
-
Davvero? Sono
certi di sentirsi bene?
-
Sì, Signore!
Dicono di avere avuto un’illuminazione e perciò si fanno chiamare
“Illuministi”!
-
Illuministi?
Bel nome mi piace. Dà l’idea della luce, della pulizia. E cosa dicono? Che
bisogno hanno di fare tanto chiasso?
-
Dicono che
tutti gli uomini nascono uguali, liberi e con gli stessi diritti. Sono molto entusiasti
di questa scoperta, perciò creano tanto scompiglio.
-
Divertente;
è tipico dei giovani sognare le cose più assurde.
Commentò
sorridendo il Principe;
-
Infatti,
Signore. Cosa vuole che faccia?
-
Li faccia
uccidere tutti! Potrebbero crederci sul serio a queste fantasie e finire per
farsi del male!
-
Bene Padrone
sarà fatto.
Il
Principe apprezzava molto la capacità del Gran Ciambellano di adeguarsi
istantaneamente ai suoi desideri, qualunque fosse stata la sua opinione fino a
quel momento. Del resto, il fedele suddito, non aveva ragione alcuna per contraddire
il suo Signore. Un Padrone si sceglie e si ama per sempre. Perlomeno fino a
quando non si decide di servirne un altro, ma con la stessa identica dedizione
e fedeltà.
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